di ADRIANO FAVARO
Questa è la storia di una delle più appassionanti "scoperte" scientifiche mai fatte nell'Adriatico. Quarant'anni fa, nel maggio del 1966 due giovani studiosi, Antonio Stefanon e il dottor Michele Dacampo appassionati subacquei trovano dei sassi sul fondo. Stefanon è geologo e i suoi libri dell'università dicono che lì non dovrebbero esserci sassi. Ma "Angi", così lo chiamano gli amici, è testardo. Giro mezza mondo alla fine capisce, per primo, come sono nate le "tegnùe", formazioni rocciose note da tempo ai pescatori perché rompevano le reti proprio in quei luoghi, dove peraltro c'è sempre stato moltissimo pesce. Lo scriveva nella seconda metà del Settecento anche l'abate Olivi, naturalista, illuminista, grande conoscitore della laguna e del mare.
Stefanon come comincia la storia?
«Ero tornato dagli Usa, dopo una borsa di studio Nato».
Cosa ha raccolto?
«Prima di tutto storie e leggende: Grado, Carole, Chioggia e anche Malamocco sommerse. A Grado avevo cominciato negli anni '40 ad andare sotto acqua, con una maschera da bambino che mi ero costruito io».
Bella?
«Un pezzo di camera d'aria, un vetro tondo, tutto tenuto con un elastico. Scendevo fino a tre metri e mezzo».
E da grande?
«Ho avuto 7-8 otiti con perforazioni del timpano e sempre grossi problemi di compensazioni. Ma la fortuna di avere docenti, anche d'università eccezionali. La mia tesi l'ho fatta sotto acqua...».
Grazie a...
«Floriano Calvino, il fratello di Italo, che mi confessa che a Ventimiglia c'era una sorgente d'acqua calda sul fondo del mare. Studiavo all'Università di Padova».
Allora lei?
«Parto con moto, pinne e maschera. A Genova trovo il vecchio Cressi che mi presta l'apparecchiatura ma prima mi obbliga a fare lezioni di sub da Duilio Nascante. Imparo in pochi giorni e trovo un marinaio che sa dov'è la sorgente: a 30 metri sotto mi dice. Tentando di scendere ho preso il mio primo grande spavento per colpa di uno sternuto. Ma l'ho superato».
Fortunato e...
«Diciamo testardo anche perché scopro che ad Albenga c'è un centro sperimentale archeologico sottomarino: alla fine posso utilizzare per una settimana una corvetta della marina militare per esplorazione».
E scopre la sorgente
«Mi aiutano anche i sub dei carabinieri. Vado giù, recupero campioni d'acqua (buonissima). Insomma la troviamo. Pubblico uno studio (il Cnr poi finanzierà una ricerca nazionale sulle sorgenti sottomarine) e in parallelo faccio la tesi col professor D'Ancona».
Col quale lavorerà.
«É lui che mi trova un posto. Nel 1964 sono laureato in scienze biologiche con tesi in giacimenti minerari e sottotesi in petrografia idraulica e rilevamento, e micropaleontologia. Parto per gli Usa ma quando torno D'Ancona è morto. Il nuovo direttore del Cnr, Bruno Battaglia, mi ricorda che sono geologo e che lavoro in un istituto di biologia marina: divento geobiologo. E così trovo il "sasso".
Ma cosa sta dicendo?
«Un sasso, sul fondo, tra Grado e Lignano, dove non dovrebbe esserci: la scienza diceva che geologicamente era impossibile».
Allora?
«Non mi ero posto problemi: mi chiedo solo cosa siano questi sassi con le vongole attaccate. Lo dico ma nessuno o quasi mi bada. Per caso però capito al Cnr tedesco ad un convegno e qualche scienziato mi dice: "è beach rock", roccia di spiaggia tipica dei mari tropicali che si forma solo su quella spiaggia e non a 15 metri sotto il mare. Nel 1967 pubblico 'sta storia. Uno scandalo».
Perché?
«I geologi parlano col mio capo e dicono: non può essere beach rock che è solo roccia tropicale che si trova sulla spiaggia, e questa viene da sotto. Solo un americano, a Montecarlo - dopo che vede le prime foto a colori - mi fa i complimenti per il ritrovamento. Tutti gli altri mi attaccano».
Ma sta nascendo la "scientificità" delle tegnùe..
«Tegnùe, le chiamavano i pescatori o sgrebani, o lastrure, nomi locali. Perfino Battaglia, che non sapeva nuotare viene sotto a vederle... Ma quei sassi, per la scienza ancora, non dovrebbero esserci»
Già, come si sono formati?
«É nel 1971, dopo un soggiorno a Kiel, che conosco uno scienziato che sa usare un "side scan sonar": scendiamo davanti a Chioggia e troviamo rocce e tanta fauna che non dovrebbe esserci».
Con il sonar di profondità cosa fate?
«La prima campagna scientifica in Mediterraneo. Poi un'altra»
Fate una mappa?
«No, perché non volevo che i subacquei andassero a far disastri...»
Come si sono formate le lastre che lei ha trovato»?
«Mica facile. Qui l'idea delle beach rock stonava: dovevano essere forse vecchie spiagge fossili, ma anche questo non combaciava con le profondità e le conoscenze del paleosuolo. Bisognava risolvere un problema: cos'erano queste lastre con crescite enormi di roccia organogena nota in Mediterraneo come "coralligeno di piattaforma"? E c'erano blocchi anche di forma colonnare; sotto acqua li identificavi con i "funghi"».
Nessuna spiegazione allora?
«Pareva. Ma col passare degli anni (siamo a fine '70, inizi '80) ho cominciato a trovare fori che "filtrano" tra la sabbia e vedo bolle. Ho uno strumento che mi permette di vedere il sottofondo. Usiamo anche un ecografo a penetrazione di fondo. Una cosa avanzatissima per l'epoca».
E capisce che...
«Dal fondo del mare esce gas, metano. Ma il gas con l'ecografo può dare immagini fantasma. Le chiamo proprio così, strati fantasma: Presento tutto a La Spezia e non mi sbranano. Intanto nel mare del Nord scoprono le pop marks. Sotto i giacimenti di gas scoprono sassi "formati" dal metano».
Chi si interessa a queste scoperte?
«Negli anni Settanta presento i miei studi a Bologna, ne parlo con l'Agip. Mostro un pezzettino di roccia grigia e nero, faccio una pubblicazione a Venezia e lancio l'ipotesi che siano sassi "fatti anche dal metano". Tutti ci ridono sopra. Ma un bravo idrogeologo, Zuppi li analizza. Quei sedimenti sono stati cementati dal metano: è il 2002.
Come funziona la faccenda?
«Il metano ha formula CH4, carbonio e idrogeno. Avviene un lento e difficile processo di ossigenazione. Ancora non si sa se c'entrano anche i batteri; e il composto si scinde in carbonio e acqua e quindi carbonato di calcio, cioè roccia.
Facile...
«Ma io ho trovato nel fondo colonne di questa formazione; e per 40 anni mi hanno turbato i sogni. Ho trovato una torre alta sei metri, larga come una stanza: da brividi. Una lastra cementata assieme all'altra: un incubo notturno per uno scienziato che conosce il liscio Adriatico. Ma per il resto le tegnùe sono un paradiso. Che abbiamo "scoperto" in fondo al mare, dove doveva esserci solo sabbia». |